Marco Mina è uno degli skaters più longevi a livello di attività in Italia. Instancabile e sempre a bordo della tavola. Marco riesce a trasmettere ai giovani la sua passione per lo skateboarding, senza tralasciare di mantenere vivo il passato di questo mondo come ci racconta in questa intervista.
Come ho sempre detto lo skateboard probabilmente ha sempre fatto parte di me…perché ricordo che anche fra i vari giocattoli che ogni bambino degli anni 80 aveva sul balcone o in cantina, (di solito c’era uno skateboard, una bicicletta, i pattini a rotelle e almeno un pallone). Lo skate è sempre stato il “ mio giocattolo preferito”. Amavo in estate girare per il cortile con la mia bicicletta che utilizzavo come strumento di esplorazione del mio quartiere di residenza., ma per sentirmi libero e dar sfogo a tutta l’energia che da bambino avevo dovevo salire sul mio SKATEBOARD.
Inizialmente un classico skate di plastica stretto ( tipo il moderno PENNY), poi intorno al 1986 passammo ad uno skate da slalom, professionale un VAL2000, e poi nel 1987 acquistammo due VARIFLEX. Due, perché inizialmente in famiglia il primo appassionato di skateboard è stato mio fratello Maury, più grande di me di 5 anni, e fino a quel momento avevamo un solo skateboard che condividevamo. Ma era talmente tanta la fotta, l’entusiasmo per questo “giocattolo”, che uno skate in due non bastava più! Nella fine 1988 finalmente passammo a due veri skateboard…io presi una Santa Cruz street Creep che ancora possiedo.
Da lì a pochi mesi dopo, a Torino arrivò il tour Santa Cruz con Steve Alba, Eric Dressen, Corey O’Brien e Jeff Edge e il tour Death Box in una fiera dove Pete Dosset e Mark Van DerEng fecero una demo in vert.
In quelle occasioni oltre a capire davvero come si usava uno skateboard capì che dietro c’era tutta una cultura e uno stile di vita, che a me piaceva da sempre! E mi sentì a casa.
Trovai finalmente la mia identità
Bhe prima di me ci sono skaters che hanno visto uno skateboarding ancora più grezzo e primitivo..,, penso alla generazione di Nelzi, Max Bonassi etc..
Lo skateboard sotto certi aspetti è cambiato moltissimo ma sotto altri invece è sempre lo skateboarding che è sempre stato.
Scappavamo dai vigili negli anni 80 noi, e scappano dagli street spot gli skaters di oggi.
Si litigava con gli intolleranti per la strada e così si fa ancora tutt’oggi , si skatea sopratutto senza fine di competizione ma per condividere gioie e dolori con i propri amici proprio come succede ancora oggi.,
Per cui secondo me sotto alcuni aspetti lo skateboarding è rimasto quello che ho conosciuto 30 anni fa.
Certo la sua trasformazione mainstream ha avuto la sua influenza.
E non credo che l’influenza più forte l’abbia data l’esordio dello skateboarding alle Olimpiadi ma quello che è cambiato nello skateboard penso abbia più a che fare con il cambiamento dell’intero mondo. Con i suoi cambiamenti., aumentando ancor di più l’esigenza di successo, denaro e fama.
Quando ero ragazzino io non pensavo minimamente a skateare per vincere delle competizioni o ottenere degli sponsor, io skateavo perché mi piaceva e tutto il resto che veniva grazie a questo era grasso che colava., mentre adesso ci sono giovanissimi skaters (anche sotto i 10 anni) che inseguono principalmente il successo, la Vittoria….e non appena questi vengono a mancare perdono l’entusiasmo e la passione per lo skateboard.
Ai contest degli anni 80/90 nessun ragazzino piangeva perché aveva svolto male la propria run di gara.
Questo è davvero triste.
La differenza più lampante fra lo skateboard che ho conosciuto io e quello contemporaneo è sicuramente l’età media degli skaters.
Ai miei tempi i pro skaters erano uomini fatti di circa 25/35 anni, mentre oggi si possono raggiungere altissimi livelli e ottimi risultati anche all’età di 12 anni!
Sono stati accorciati i tempi.
Quando avevo io 15 anni era impensabile poter essere a quell’età forti come i migliori al mondo, mentre oggi è assolutamente possibile.
L’aumento di Skatepark nel mondo ha velocizzato e semplificato tutto.
E sarà sempre l’ingrediente principale per far nascere nuove realtà , nuove scene, e quindi nuovi skaters promettenti e talentuosi. ( se uno skater ha un potenziale ma non ha strutture sulle quali allenarsi il suo talento non viene sviluppato).
Lavoro direttamente con la FISR ( Federazione Italiana Sport Rotellistici) ,per cui non potrei che essere a favore e contento per la crescita dello skateboarding che inizialmente era visto come un passatempo di fankazzisti sui monumenti delle città.
Se pur le mie radici sono e rimangono un po’ punk, non ho mai proclamato il motto “ skateboarding keep a crime”, anzi non mi è mai piaciuto.
Anzi a dirla tutta sono cresciuto con l’esatto contrario: negli anni 80 primeggiava su ogni tavola l’adesivo SKATEBOARDING IS NOT A CRIME, per cui c’è da dire che gli skaters hanno sempre proclamato la bellezza dello skateboarding e lamentato del fatto che per altri sport riconosciuti come tali le strutture esistevano e per lo skateboard gli skatepark mancavano.
Chi di noi non si è trovato a discutere con un cittadino o un vigile del fatto che ci stesse sgomberando da un luogo dove era proibito fare skate, ma che non avevamo alternativa perché un posto dove fare skate non c’era?!
Per cui c’era da immaginarlo che soprattutto grazie alla bellezza dello skateboarding in sé, e perché gran parte degli skaters mondiali auspicano da sempre in un riconoscimento di questo che lo skateboarding sarebbe cresciuto e sarebbe finalmente stato apprezzato da tutti.
Ma quale bambino, famiglia o nonnino non si ferma con gli occhi sgranati dalla curiosità e dal fascino, quando passa davanti ad una rampa o una piazza dove skateano gli skaters?!?
Ora sta a noi, skaters che conosciamo bene lo skateboarding tenere viva la memoria, e trasmettere la Cultura alle nuove generazioni di questo SKATEBOARDING che passa tranquillamente dai palchi dei concerti Punk ai podi delle Olimpiadi.
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